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Scrittura inclusiva: parole che accolgono

Viviamo in un mondo che ci impone di essere sempre più digital e che, al tempo stesso, ci obbliga a farci – giustamente – sempre più domande su chi siamo e su come vogliamo relazionarci con chi c’è dall’altra parte dello schermo.

Per questo, ormai da tempo, ho iniziato a usare nel mio lavoro la scrittura inclusiva, una forma di linguaggio che non accetta discriminazioni. Anche se il dibattito sulla scrittura inclusiva è aperto da anni, te ne parlo adesso perché mi va di prendere posizione e perché magari, dopo questo articolo, avrai voglia anche tu di abbracciare questo tipo di comunicazione.

Cos’è la scrittura inclusiva

La parola che mi viene subito in mente quando penso alla scrittura inclusiva è proprio quella che ho scritto poco fa: abbraccio. Il linguaggio inclusivo non è solo una questione di moda o di correttezza politica; è una riflessione profonda sul potere delle parole e su come basti poco per creare un ambiente più accogliente e rispettoso. In una società che riconosce e celebra tutte le identità di genere, orientamenti sessuali, origini etniche e qualsiasi capacità fisica e mentale, anche il linguaggio ha bisogno di evolversi per poter esprimere ogni sfaccettatura dell’essere umano.

Può sembrarti una sottigliezza ma comunicare in modo più consapevole in questa direzione fa una differenza enorme: attraverso l’uso di termini e strutture linguistiche che evitano di escludere o marginalizzare, possiamo contribuire a costruire, un mattoncino dopo l’altro, un mondo più libero.

La scrittura inclusiva:

  • è un segno di rispetto e sensibilità nei confronti della diversità;
  • promuove un ambiente rispettoso e accogliente;
  • sviluppa una maggiore consapevolezza delle varie esperienze e sfide che le persone affrontano;
  • rende la comunicazione più semplice ed efficace;
  • celebra uguaglianza ed equità;
  • riflette i cambiamenti sociali e culturali in corso.

Scrittura e linguaggio inclusivo, la partenza

Arrivata a questo punto, sento alcune voci di sottofondo un po’ diffidenti che dicono: ma come si fa a scrivere in modo inclusivo? mica dovrò mettermi a usare lo schwa nei miei testi, vero? vuoi che il mondo cambi perché diciamo la presidentessa al posto di presidente? certo che scrivere pubblica ministera è proprio brutto!

Ok. Procediamo un passo alla volta. Ti propongo qui di seguito una serie di approcci inclusivi che puoi sperimentare in libertà e introdurre gradualmente nel tuo modo di scrivere per far sentire più a tuo agio le persone che ti leggono. 

Riduzione del maschile sovraesteso

L’italiano è una lingua maschilista, che ci ha abituato a usare il maschile in riferimento a qualsiasi comunicazione. 

«Grazie per esserti iscritto al nostro programma fedeltà.» 

«Siamo lieti di invitarti al nostro prossimo webinar sull’alimentazione vegana.» 

«I diritti del dipendente sono al primo posto.»

Te ne accorgi anche tu: tutte queste frasi sono declinate al maschile. Io, da donna, anche se abituata a leggere questo tipo di comunicazioni, non mi sento più coinvolta. E se, invece, fossi una persona non binaria?

La soluzione – che sembra più complessa di quello che in realtà è – è fare affidamento alle costruzioni neutre. In tal senso gli esempi di prima possiamo farli diventare così:

«Grazie per aver effettuato l’iscrizione al nostro programma fedeltà.» 

«Abbiamo il piacere di invitarti al nostro prossimo webinar sull’alimentazione vegana.» 

«I diritti di chi lavora sono al primo posto.»

Modernizzazione di titoli e professioni

Nel linguaggio inclusivo si seguono le regole della lingua italiana per adattare i titoli professionali al genere.

Quindi:

  • architetto al femminile diventa architetta;
  • perito/perita;
  • chirurgo/chirurga;
  • cavaliere/cavaliera;
  • ingegnere/ingegnera;
  • e via dicendo.

Alcune soluzioni non ti suonano? Questione di abitudine. Chi siamo noi, in fondo, per opporci al via libera dell’Accademia della Crusca che ha fornito le sue indicazioni rispetto alla scrittura rispettosa della parità di genere negli atti giudiziari?

Articolo determinativo davanti a cognomi femminili

Sempre per una questione di bilanciamento in scrittura in una società patriarcale in cui il sesso è elemento di giudizio, eliminare l’articolo determinativo prima del cognome femminile, indica dare attenzione ai meriti di quella persona e non tanto alla sua distinzione di genere.

Esempio: Vianello e la Mondaini, la coppia più amata della tv diventa Vianello e Mondaini, la coppia più amata della tv.

Critiche al linguaggio inclusivo e controargomentazioni

Come tutti i cambiamenti, anche il linguaggio inclusivo è un passaggio che ha bisogno di essere assimilato e digerito, soprattutto perché in questo momento non abbiamo indicazioni precise ma ci sono dibattiti ancora aperti. Mi sento però in dovere di rispondere nero su bianco ad alcune critiche in cui mi sono imbattuta nel tempo che ricapitolo qui: 

  • dovendo usare forme neutre, i testi diventano più complessi e meno leggibili;
  • cambiare il modo di scrivere non ha risvolti concreti nella battaglia reale verso l’inclusione sociale;
  • la lingua italiana si impoverisce e perde le sue tradizioni.

Se è vero che la scrittura inclusiva richiede un’attenzione maggiore nella scelta delle parole e nella costruzione delle frasi, non è altrettanto vero che rende queste ultime più complesse, anzi. Spesso migliora la chiarezza e la leggibilità di un contenuto. Lo spiega più in dettaglio Annamaria Anelli nel suo quaderno “Parole rispettose”.

So poi anche bene che da soli i cambiamenti linguistici non bastano per spazzare via giudizi e discriminazioni in una cultura molto radicata. Scrivere in modo inclusivo, però, vuol dire prendere posizione, quello che scriviamo influenza il pensiero e il modo di interagire con la società. Usare la scrittura inclusiva contribuisce a creare una maggiore sensibilità e rispetto per la diversità.

Sul tema dell’impoverimento dell’italiano, ehm, io non sono tradizionalista ma quello che posso dire è che ogni lingua è sempre in costante evoluzione, adattandosi ai cambiamenti sociali e culturali. Non è un caso che l’Accademia della Crusca aggiunga periodicamente parole nuove e lo fa, come dice nel testo stesso: Le parole che fanno parte dell’italiano, come di qualsiasi lingua naturale, non possono essere “decise” o “scelte” dall’alto, ma sono quelle che spontaneamente si attestano negli usi dei parlanti, sulla base delle normali dinamiche di funzionamento delle lingue. La scrittura inclusiva è un altro passo in questa evoluzione continua, che arricchisce la lingua piuttosto che impoverirla.

Scrittura inclusiva e il dibattito sullo schwa

Nel contesto della scrittura inclusiva, l’uso dello schwa (ə) – simbolo fonetico che rappresenta una vocale neutra – è emerso come una pratica innovativa, soprattutto nei media digitali e sui social network. 

Sono sicura che l’hai già visto in stories, reel e comunicazioni varie, per esempio: “ciao a tuttə” o “buongiorno amicə”. Questo approccio mira a superare le divisioni di genere tradizionalmente presenti in molte lingue, offrendo una forma più universale e non binaria  includendo tutte le identità di genere in modo più olistico.

Lo schwa è diventato nel tempo piuttosto popolare, viene usato soprattutto come segno di solidarietà, supporto alla diversità e come affermazione di una posizione progressista nei confronti dei diritti e delle questioni di genere.

Nonostante le intenzioni positive, intorno allo schwa sono aperte oggi molte discussioni riguardo leggibilità e accessibilità. Se da un lato stiamo tutelando l’identità di genere, sembra che dall’altra vi siano problematiche legate alla lettura da parte di persone con dislessia, che possono trovare difficile leggere e comprendere testi che includono simboli non standard

Dato che si tratta di un discorso aperto e che non abbiamo ancora soluzioni, io vedo sempre il bicchiere mezzo pieno. Pur non preferendo l’uso dello schwa nelle mie comunicazioni quotidiane, riconosco il suo valore e incoraggio a usarlo come strumento per sensibilizzare e prendere posizione su questioni di genere, soprattutto nei contesti digitali. È una testimonianza del dinamismo e dell’adattabilità della lingua, nonché della sua capacità di riflettere e influenzare i cambiamenti sociali. 

Sul tema ti invito a leggere l’articolo di Alice Orrù: “Perché ho deciso di usare lo schwa inclusivo (e magari potresti provarci anche tu)”.

Linguaggio inclusivo, oltre il genere

Spesso pensiamo che la comunicazione inclusiva abbia a che fare solo con la questione di genere, in realtà il concetto più ampio. Se la comunicazione inclusiva si pone come obiettivo quello di accogliere e abbracciare chiunque, non possiamo non allargare lo spettro ad ageismo, abilismo, razza, religione, orientamento sessuale, body shaming con tutti i pregiudizi che abbiamo alle spalle e gli atti di pietismo non richiesti verso, per esempio, persone con disabilità. 

Su questo argomento, il libro “Scrivi e lascia vivere” offre molti spunti di riflessione, ne riporto qui uno sul tema abilismo. Il linguaggio abilista ha diverse gradazioni: dall’ostilità palese alle microaggressioni involontarie, determinate dalla (buona) intenzione di mostrare vicinanza e ammirazione. Tra queste troviamo frase come “A vederti non sembri per niente autistico-a”, o “Quanto ti ammiro, non riuscirei mai a fare quello che fai tu”. Non sono complimenti, sono microsvalutazioni. E sottolineano la disabilità sia come una sorta di marchio, una permanente infelicità.

Sul tema ageismo, invece, ti segnalo anche il TEDXArona di Alexa Pantanella che puoi guardare qui di seguito.

Le buone intenzioni

In definitiva, scrivere per l’inclusione significa considerare un ampio spettro di esperienze e bisogni. Questo rende il nostro linguaggio più accogliente e rispettoso arricchendo la nostra capacità di comunicare con un pubblico più grande. La scrittura inclusiva, quindi, non è solo un’espressione di sensibilità sociale, ma un impegno di comunicazione efficace e responsabile.

Caspita. Ma io non voglio discriminare, magari lo faccio e non me ne accorgo. E se usassi parole che offendono senza rendermene conto?

Stai pensando questo? Ti capisco. Anche io ho paura di offendere o usare espressioni non inclusive senza accorgermene, ma credo che la cosa importante sia avere un atteggiamento propositivo e costruttivo. A oggi non possiamo (e non dobbiamo) più far finta di niente, possiamo però formarci e informarci (nel quaderno di Annamaria trovi una bibliografia super sul tema), prenderci il tempo per scrivere con più attenzione, aprirci alle persone e celebrare ogni sfaccettatura di noi.

Il mondo cambia, anche grazie alle parole.

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Uso la scrittura per far incontrare brand e persone. Sorrido, cammino spesso scalza, non vivo senza scorte di zucca nel freezer. Sono come mi leggi.